martedì 19 luglio 2016

L’ansia e la paura di avere paura


  
-Una riflessione sull’ansia, segnale che chiede di essere accolto e narrato per poter essere attraversato- 

W. Sasnal, senza titolo


Spesso le persone che ci contattano allo Studio motivano la loro richiesta di aiuto definendosi ansiosi o lamentando di soffrire di ansia, magari sulla base di una diagnosi proposta loro dal medico di base. Nel consegnarci questa parola è un po’ come se sentissero di averci già detto tutto; come se, a quel punto, non vi fosse molto altro da aggiungere, tanto è vero che poi si fermano, restando in attesa. L’ansia sembra allora diventare un oggetto pesante ed inquietante da consegnare al terapeuta, nella speranza che questi possa farsene carico e farlo sparire dalla circolazione nel modo più rapido ed indolore possibile. In situazioni di questo tipo, l’aspettativa del paziente è quella di eliminare o quantomeno ridurre il sintomo-ansia, così da recuperare una condizione di benessere e ritrovare la serenità. E’ gia su questa premessa che il modello d’intervento medico e quello psicoterapico (quantomeno quello di tipo psicodinamico nel quale ci riconosciamo) si differenziano prendendo due strade diverse. 
Tornando all’immagine dell’ansia come oggetto pesante, il nostro obiettivo è quello di sostenere ed accompagnare il paziente in un percorso di scoperta e conoscenza, mettendoci entrambi in una posizione interrogativa, che provi a non dare nulla per scontato. 
Di che cosa mi parla quest’ansia che avverto? Come posso provare a raccontarla? A quali pensieri, fantasie ed emozioni si associa? Da quanto la sento parte di me? Che ruolo e che spazio ha avuto nella mia storia? 
Questo è solo un esempio delle domande che possono emergere in una fase iniziale di esplorazione ed analisi della domanda; interrogativi che non sarebbe possibile né utile affrettarsi a chiudere con delle risposte, ma che, piuttosto, hanno l’obiettivo di aprire uno spazio, all’interno del quale -insieme- stabilire un contatto con un questo sintomo-segnale che sta tentando di comunicare qualcosa. Ecco, allora, che l’ansia smette di essere un’etichetta che nel suo dire tutto, rischia di non dire nulla, ed inizia a riempirsi di un senso che può essere pensato, narrato e condiviso all’interno dello spazio terapeutico. 
All’inizio di una psicoterapia, la persona con un problema di ansia tende a non trovare le parole per descrivere questa sua sensazione, che, non a caso, si situa al confine tra il livello corporeo e quello emotivo: il fatto stesso di usare espressioni come “ho l’ansia”, o “sono un soggetto ansioso”, ci riporta ad una rappresentazione di tale condizione come evento inspiegabile che colpisce dall’esterno, o come tratto di personalità che caratterizza l’altro da sempre, perché si è fatti così. 
Attraverso il lavoro terapeutico, l’ansia diviene pensabile, può essere tradotta in parole, e connessa a dei contenuti specifici, che permettono alla persona di sentirsi meno smarrita e disorientata, entro una sensazione vaga ed indefinita. Pensiamo questo percorso di elaborazione nei termini di un attraversamento dell’ansia che, quindi, non si configura come un sintomo da eliminare, ma, semmai, come un oggetto -indubbiamente problematico- con il quale imparare a fare i conti e a gestire nel migliore dei modi possibili.  
Il nostro intento è quello di aiutare l’altro a non avere paura di entrare in contatto con questa sensazione, fuoriuscendo dalla fantasia che il cambiamento -e la possibilità di stare meglio- siano legate al raggiungimento di una situazione di eliminazione completa dell’ansia dalla propria vita, obiettivo, questo sì, abbastanza problematico! 
Ci torna in mente il caso di una paziente che si era rivolta ad uno di noi due perché letteralmente paralizzata da un ansia divenuta sempre più pervasiva che l’aveva bloccata, inducendola a ridurre sempre di più il raggio delle sue azioni e la gamma delle sue esperienze, per evitare di sentire l’ansia. Un passaggio cruciale del lavoro ha avuto proprio a che fare con la possibilità di iniziare a pensare l’ansia come una parte di sé che chiedeva di essere accolta, riconosciuta, rassicurata e non più combattuta. Il cambiamento, per questa donna, ha significato sentire di poter andare incontro alla realtà, accettando di farlo con le proprie risorse e anche con le proprie fragilità -ansia compresa- senza avere più paura di avere paura. 

Silvia Lombardi, psicologa, psicoterapeuta, specialista in psicologia della salute
Massimiliano Stinca, psicologo, psicoterapeuta, specialista in psicoterapia dei gruppi

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