martedì 5 marzo 2013

Psicologi -e psicologia- usa e getta


Assistiamo, negli ultimi tempi, al moltiplicarsi di iniziative e progetti finalizzati a offrire "consulenze psicologiche" all'interno di spazi variamente denominati (sportello amico, centro di ascolto, ecc.).
Il denominatore comune che attraversa tali iniziative è la gratuità del servizio erogato, il suo sistuarsi entro contesti "inediti" per la psicologia -ad esempio centri commerciali e farmacie- e, generalmente, l'assenza di condizioni e criteri organizzativi per accedere alla consulenza. 
L'intento sembrerebbe essere quello di "abbattere" tutte quelle barriere che, a vari livelli, si frappongono tra il bisogno dell'utenza, e l'incontro con lo psicologo, favorendo così una facilitazione dell'accesso alla consulenza, nonchè, di conseguenza, una promozione della psicologia stessa all'interno del territorio. 

Ma quanto, tuttavia, questa semplificazione finisce per evocare problematicamente una banalizzazione, se non addirittura uno snaturamento di tutte quelle pratiche d'intervento che, a vari livelli, rientrano nell'ambito psicologico clinico?  
Per dirla in altri termini, che tipo di rappresentazione della psicologia e della relazione terapeutica (a nostro avviso anche una consulenza psicologica, un unico colloquio, "costruiscono" una relazione terapeutica) tende ad essere evocata e veicolata da questo tipo di proposte? 

Pensiamo a questa relazione terapeutica, e alla proposta che veicola, nei termini di un esperimento a costo zero, non tanto e soltanto perchè gratuita in senso letterale, ma sopratutto alla luce del suo intento di far fuori tutti quegli elementi organizzativi:
 - prendere un appuntamento;
- delimitare espressamente una cornice temporale;
- avere a disposizione lo spazio fisico di uno studio;
- prendere sul serio la possibilità di parlare con uno psicologo, non così al volo, ma come momento delicato in cui si riconosce di avere veramente un problema o comunque una domanda.
Elementi, questi, che costruiscono quella dimensione di setting che, di fatto, qualifica l'intervento psicologico clinico, ponendo quei limiti/confini che permettono di differenziare questo tipo di relazione da altre forme d'aiuto. 

La dimensione del "costo zero" si associa, a nostro avviso, a quella del disimpegno, elemento, quest'ultimo, che ci ha spinto, non senza un pizzico di provocazione, ad evocare nel titolo una psicologia usa e getta. Disimpegno del cliente, che tenderà ad utilizzare questo spazio -poco cercato, non intenzionalmente raggiuto, ma più che altro incontrato quasi per caso- nei termini dell'ennesimo contenitore dove riversare il proprio sfogo, o magari trovare qualche soluzione, possibilmente rapida e indolore, e, più in generale, disimpegno della relazione stessa.

 Riteniamo assolutamente prezioso e vitale che la psicologia clinica si interroghi e metta in discussione i propri modelli d'intervento anche alla luce dei cambiamenti socio culturali in corso, non arroccandosi difensivamente su posizioni conservative, purchè questo non esiti in un tradimento della sua stessa identità.
Pensiamo che tali cambiamenti vadano riconosciuti e interrogati, piuttosto che scontatamente assecondati.
In questi tempi drammaticamente attraversati dalla precarietà -esistenziale e non "solo" lavorativa-  anche la psicologia clinica è chiamata a ripensare la propria proposta terapeutica. 
Proposta che, secondo noi, forse ancora più di prima, dovrebbe tentare di promuovere relazioni impegnate. Rapporti che tentino di costruire stabilità, premessa indispensabile per realizzare uno sviluppo.