venerdì 12 settembre 2014

Il nostro approccio: la psicoterapia psicodinamica



 Il terapeuta II, 1962, René Magritte
                                        
Spesso accade che le persone che ci consultano ci chiedano quale sia il nostro approccio, o che magari, pur essendo a conoscenza del fatto che la nostra metodologia clinica si situi entro l’area della psicodinamica, non abbiano idea (comprensibilmente) di cosa questo significhi.

Con queste poche righe vorremmo provare ad aiutare la nostra utenza, cercando di chiarire – al di fuori di tecnicismi poco fruibili dai non addetti ai lavori- che cosa significhi implicarsi in un percorso di psicoterapia psicodinamica.

Eviteremo di soffermarci su questioni di carattere storico e bibliografico, non essendo questo l’obiettivo che qui ci riguarda; passeremo quindi ad elencare una serie di punti chiave che caratterizzano la nostra proposta di lavoro terapeutico.


1)    Relazione, contesto e sofferenza.

La nostra idea è che la vita psichica produca esperienze emozionali che vanno o in direzione di un migliore adattamento e sviluppo di se stessi o in una direzione che si oppone alla crescita di sè. Lo sviluppo di se stessi non è qualcosa di fisiologico e naturale, piuttosto è un processo che va condotto e governato. La sofferenza psichica è quel segnale che si produce ogni qualvolta ci allontaniamo da forme di adattamento alla realtà più adeguate; in alternativa noi proponiamo di passare dalla sofferenza psichica alla fatica psichica, ovvero a quell’esperienza emozionale che ci allontana dall’impotenza e che ci aiuta, non senza sforzi, a governare l’insieme delle relazioni che caratterizzano i nostri contesti di vita.
 

2)   La domanda allo psicoterapeuta

Se le relazioni con i nostri contesti sono gravate dalla nostra impotenza a far sì che le cose possano cambiare, anche la relazione con lo psicologo sarà caratterizzata e da tale vissuto e dai medesimi ostacoli. Per tale ragione prima ancora che le questioni e i problemi che ciascuno ci sottopone, sarà la relazione che si vuole instaurare ( e che viene instaurata ordinariamente fuori dalla stanza di consultazione ) con lo psicologo il primo elemento da esaminare per comprendere le ragioni della propria sofferenza.  Il nostro compito come psicoterapeuti è quello di promuovere una relazione con l’altro, evitando però che questa si avviti, ancora una volta, lì dove siamo soliti raccogliere la nostra impotenza.

3)    I contenuti e la storia

Certamente siamo interessati a tutte le vicende storiche che il paziente decide di raccontarci ma non abbiamo un interesse specifico a monte per talune questioni. Per tale ragione vorremmo sfatare il mito della terapia come lavoro che si rivolge al passato, a volte anche antico, come necessità utile alla cura. Il nostro obiettivo è aiutare i pazienti nel presente servendoci  certo dei materiali  storici che ciascuno decide progressivamente di offrire alla terapia, ma quale occasione per riflettere sulla dimensione emozionale che attraversa questa specifica storia. La dimensione emozionale costituisce il cemento con il quale ci si è costruiti il proprio mondo relazionale, con tutto ciò che esso implica, adesso, nel presente.

4)    Dalla vittima all’artefice

Spesso accade che la nostra utenza non sappia da dove cominciare a raccontare la propria storia, interrogandosi su cosa sia più "giusto" raccontare. Se da un lato nel corso delle sedute ci premuriamo di aiutare i pazienti a raccontarsi, dall’altro tentiamo di spingere i pazienti a sforzarsi di trovare loro di volta in volta l’argomento da sottoporci. Quest’aspetto diviene per il nostro lavoro molto rilevante, in quanto aiuta le persone ad essere meno spettatori della propria storia; inoltre tale modalità permette ai pazienti di visualizzare quegli automatismi che caratterizzano il loro quotidiano. 
Traguardare tale possibilità, diviene il primo passo per fuoriuscire dalle secche entro cui ci si è arenati: come nuovi elementi su una mappa, dopo aver riguadagnato il mare, sarà possibile tracciare, ancora una volta, nuove rotte. 



 

lunedì 27 gennaio 2014

L'insostenibile leggerezza dell'essere (in psicoterapia)


 Si fa un gran parlare -negli ultimi tempi- di psicoterapia sostenibile, erogata, quindi a dei prezzi accessibili alle possibilità economiche di quanti sarebbero interessati ad avviare un percorso, ma non possono permetterselo.
La questione è drammaticamente attuale, alla luce del difficile periodo che il Paese sta attraversando: un tempo di crisi, segnato da una precarietà -esistenziale più che meramente economica- che, se da un lato sembrerebbe alimentare una domanda di e alla psicologia, dall'altro rischia di lasciare privi di quelle risorse necessarie ad accedere a questa possibilità. Per dirla in altri termini, proprio nel momento di maggior bisogno, ci si potrebbe sentire nell'impossibilità di poter chiedere aiuto.
Se ci limitiamo a considerare la questione da un'ottica fattuale, siamo confrontati con delle evidenze (i famosi dati di fatto) che sembrerebbero lasciare poco margine di manovra: la psicoterapia diviene quella spesa da tagliare (o da non mettere proprio in bilancio) perchè inevitabilmente scalzata da priorità non negoziabili. 
La psicoterapia, dunque, si configurerebbe nei termini di una spesa tanto potenzialmente utile, quanto insostenibile.
Dentro uno scenario di questo tipo, intervenire sui costi della psicoterapia, provando ad andare incontro al cliente attraverso una politica di tariffe agevolate vorrebbe tentare di superare tale vissuto di insostenibilità, agevolando l'accesso a questo tipo di esperienza.
Tutto questo appare molto ragionevole e logico ma, dal nostro punto di vista, non del tutto convincente. 
Pensiamo, infatti, che la questione della sostenibilità della psicoterapia non possa essere compresa se colta solo nei suoi aspetti fattuali: c'è, infatti, un piano emozionale che affianca ed integra il piano "fattuale" della realtà, a volte completandolo, altre stravolgendolo. 
Guardare la realtà da un vertice clinico, significa quindi per noi non certo patologizzarla, quanto piuttosto interrogarci sul rapporto che di volta in volta si costruisce tra questi due piani, quello della realtà colta nei suoi aspetti fattuali, e quello dei processi emozionali che la attraversano e costruiscono.
Torniamo alla psicoterapia sostenibile per provare a spiegarci.
L'ipotesi che proponiamo è che la questione della sostenibilità (o dell'insostenibilità!) della psicoterapia  evochi l'idea di un peso non compreso del tutto se confinato al piano economico; un peso che ci parla dei costi emozionali della psicoterapia, dell'impegno che richiede, aldilà dell'aspetto monetario.
Il nostro Studio pensa, quindi, il costo della psicoterapia nei termini di un onere che provi ad essere sostenibile (economicamente) ma impegnativo, muovendo dall'ipotesi che l'implicazione in un percorso psicoterapeutico passi necessariamente attraverso il superamento di una serie di resistenze e comporti l'assuzione di un impegno, che il costo dell'esperienza segnala sul piano materiale.
La disponibilità ad andare incontro al cliente, in altri termini, non può pretendere, o illudersi, di bypassare la parte di lavoro, responsabilità ed impegno che l'altro è chiamato ad assumersi; pensiamo questo non tanto da un punto di vista etico, quanto piuttosto metodologico.
La psicoterapia, come esperienza di cambiamento, chiede di spendere -e spendersi- molto dal punto di vista delle proprie risorse interne; eludere questo piano rischia di ingannare non solo il nostro cliente ma noi stessi, spingendoci a vedere risultati anche quando questi effettivamente non sono stati raggiunti, poichè sospinti da una fantasia tanto agevolante quanto poco lucida.
Il costo della psicoterapia, dunque, quale "cifra simbolica" che se da un lato vuole apparire sostenibile, dall'altro è obbligata a chiedere un impegno, quindi, un costo.